Abruzzo: È peggio la toppa del buco, ossia il rimedio sarà peggiore del danno?
Per ARCI Caccia ed Ente Produttori Selvaggina questa appare essere la giusta descrizione della proposta di calendario venatorio predisposta dagli Uffici competenti della Regione Abruzzo per uscire dal presunto impasse determinato da un decreto del Presidente del Tar Abruzzo – L’Aquila che, emesso il 28 agosto u.s. su ricorso proposto dal WWF e dalla Lega Nazionale per la difesa del cane, aveva sospeso ogni forma di caccia (e di attività collaterali, come la possibilità di addestramento cani) per tutto il territorio regionale sino alla successiva trattazione cautelare collegiale fissata per il 25 settembre.
La Regione non ha preso in esame la possibilità di costruire un nuovo calendario venatorio, fatto secondo i crismi dovuti dalle regole della caccia sostenibile, e nemmeno la possibilità di emanare una sequenza di delibere di giunta in grado, progressivamente, di ricondurre nell’alveo di quanto ragionevolmente concedibile al mondo venatorio la disciplina venatoria per la stagione da aprirsi. Bensì ha deciso di lanciarsi in un volo acrobatico che scontenterà le necessità pretese del mondo venatorio. Di fatto, ad esempio, ad oggi risulta completamente vietata la caccia alla coturnice, e forti limitazioni per altre specie, fraintendendo l’interpretazione di quella che è una fase solo provvisoria di costituzione della c.d. Area contigua del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, per cui è stato vietato l’accesso in quest’area ai cacciatori che non vi siano formalmente residenti. Tutto ciò, confuso, con delle clausole condizionali, meramente ipotetiche, e assai discutibili in forza delle quali molte decisioni che apparterrebbero al calendario venatorio in forza di solide basi scientifiche, sono state invece completamente rimesse alla imponderabile discrezionalità del giudice amministrativo, il cui decisum, potrebbe non solo almeno per i prossimi dieci anni condizionare la caccia in Abruzzo, ma anche “contagiare” la giurisprudenza amministrativa di altre regioni della penisola, ove investite delle medesime questioni.
Basti solo considerare che la maggior parte dei territori in cui in Abruzzo è presente la Coturnice sono ricompresi in Aree protette, ove la specie sembrerebbe in decremento a causa della scomparsa dei pascoli e coltivi in quota come consacrato in maniera incontrovertibile dall’Unione internazionale per la conservazione della natura e non certo a causa del prelievo venatorio, che era stato già fatto oggetto di limitazioni con discipline specifiche. Questo divieto, così come l’impossibilità del prelievo dell’Allodola e l’obbligo della residenza per esercitare l’esercizio venatorio nella ZPE del Parco d’Abruzzo comporterebbero il “collasso” economico di alcuni Atc Abruzzesi. Limitando così la possibilità di contenere efficacemente il cinghiale, giacché il numero dei cacciatori “residenti” è ben più che risicato.
Sullo sfondo, si celano, ad un attento esame, dei guasti procedimentali e giuridici, che se ulteriormente censurati dalle associazioni ambientaliste ricorrenti, potrebbe portare l’apertura della caccia in Abruzzo come una mera ipotesi, sia sul “se” che sul “come”.
Per completare la sommaria disamina, che potrebbe andare molto, ma molto più a fondo in senso assolutamente negativo, è stata indicata come giornata di chiusura per la caccia alle specie Cornacchia grigia, Gazza e Ghiandaia, il 31 gennaio 2020, che è un venerdì. Nessuna parola può stigmatizzare la superficialità e l’approssimazione che si cela dietro a tale banale errore, ben altro che un mero errore di scrittura.